Come raccontare una storia al tempo del marketing
Storie e bisogni
La pubblicità oggi usa molto la narrazione (lo storytelling, come si è finito per dire) e per questo occorre capire che per raccontare una storia occorre individuare quale bisogno di ascolto si va a soddisfare.
È una legge non solo del marketing, ma al tempo del marketing la legge andrebbe rispettata in modo inflessibile. Narrare dunque soddisfa un bisogno di chi ascolta e i bisogni di narrazione sono diversi.
Proviamo a farne un elenco, breve e probabilmente incompleto, ma che ci aiuta nel ragionamento.
- Ci sono storie che rassicurano, dicendoci cose che già sappiamo.
- Ci sono storie che inquietano, aprendoci prospettive che non conoscevamo.
- Ci sono storie che, semplicemente, ci fanno compagnia, immergendoci in una situazione piacevole.
La pubblicità usa tutte e tre queste modalità con obiettivi diversi.
Il primo caso è studiato in letteratura perché è tipico di tutte le storie che servono a confermarci che tutto quello che accade non può cambiare il nostro mondo: per quanti avvenimenti – comici, tragici, drammatici – accadono torneremo alla nostra casa così come l’abbiamo lasciata.
Le favole per bambini hanno questa struttura e infatti i bambini le vogliono sentire e risentire sempre uguali, perché in questo modo hanno l’idea che il mondo – il loro mondo – resterà sempre lo stesso. Ed è il caso di tutta la narrativa veicolata dai mass media: alla fine il buono (e il bene) trionfano, per quante vicissitudini possono accadere.
Nella pubblicità questa modalità è assai usata dai leader, da chi vuole confermare al proprio pubblico che il mondo non cambia e che il prodotto comprato ieri offrirà le stesse soddisfazioni del prodotto comprato domani. Pensiamo alla coca cola e alle sue storie di continuità, in cui la narrazione è volutamente vintage, per costruire un rapporto tra il prodotto consumato in un’epoca felice e il prodotto di oggi.
Il secondo modo di narrare è molto più difficile e rischioso, ma è necessario alle aziende e alle organizzazioni che vogliono far cambiare idea al cliente. È poco usato, perché è tipico della letteratura e della narrazione alta, e la pubblicità, ovviamente, ama i mass media, la rassicurazione, non l’inquietudine. Eppure è una modalità su cui forse occorrerebbe rischiare di più. Questa modalità viene usata ad esempio nei casi di de-marketing, cioè nei casi in cui occorre far cambiare comportamento al consumatore, ad esempio per il consumo di droga e alcool. I risultati però sono spesso mediocri, ma su questo torneremo in seguito.
Storie, intrattenimento e immagine aziendale
L’ultima categoria è quella più usata, fin dai tempi del nostro vecchio Carosello: ti racconto una storia per tenerti davanti allo schermo, per fermarti davanti alla tv senza farti cambiare canale, e poi ti spaccio, in qualche momento, una presentazione del prodotto. Il vecchio Carosello non si preoccupava di altro, anzi era obbligatorio fare due minuti di spettacolo senza parlare di prodotto. Oggi le cose sono diverse e la modalità funziona se c’è un rapporto tra la storia narrata e l’immagine dell’azienda.
Trivago, il sito web di prenotazione hotel, ha sempre usato lo storyteling per la sua pubblicità. Famoso quello con il modello con la barba che ha inquietato con la sua bellezza (mi dicono) generazioni di fanciulle e che è stato protagonista di una mini serie in cui in hotel seduceva (e non ci vuole molto) una bella ragazza.
Ora Trivago ci spiega che degli hotel sanno tutto con una serie di spot ironici in cui in alberghi in parti diverse del mondo accadono delle buffe storie. C’è quello con il bottino nascosto e il bambino che ha perso la memoria, e quello della stanza infestata dai fantasmi a Bangkok .
Due storie appunto giocate sull’ironia, che narrano, dal punto di vista pubblicitario, come davvero Trivago sappia tutto quello che accade negli alberghi. Dunque una storia che non ha come scopo quello di suscitare un comportamento nel consumatore (per farlo, come abbiamo spiegato altrove, serve un problema da risolvere all’inizio della storia), ma vuole semplicemente tenerlo fermo a ascoltare. Una storia che mostri come l’azienda conosce il suo mercato e che quindi rafforza la sua immagine. Per confortare il cliente o per fargli cambiare idee, serve altro.